NOTA DELL’ ASSOCIAZIONE NAZIONALE AUTORI CINEMATOGRAFICI (A.N.A.C.)
In occasione dell'audizione dinanzi agli Uffici di Presidenza riuniti, integrati dai rappresentanti dei Gruppi parlamentari, delle Commissioni 7a e 8a, nell'ambito dell’esame dell'atto del Governo n. 469 (disposizioni in materia promozione opere europee e italiane di servizi media)
MARTEDI' 14 NOVEMBRE 2017, ALLE ORE 15,30

Sono presenti per l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici il presidente Francesco Ranieri Martinotti e la consulente legale per gli affari europei avvocatessa Giuliana Aliberti.
Lo schema di decreto sul quale siamo chiamati ad esprimere il nostro parere è la figliazione diretta della nuova legge del cinema e dell’audiovisivo, si tratta di una legge riformatrice dell’intero settore, un settore che ha assoluta rilevanza culturale per il Paese e che allo stesso tempo è strettamente collegato con il sistema dei fornitori di servizi di media audiovisivi. La legge n.220 all’art. 34 stabilisce tale collegamento prevedendo una delega al Governo per riformare e razionalizzare la promozione delle opere italiane e europee da parte dei fornitori di servizi media audiovisivi. E’ quindi inevitabile che lo spirito della legge debba permeare anche questo ambito e lo faccia con norme stringenti. Se così non fosse vorrebbe dire che la riforma è incompleta e inefficace.

Uno degli aspetti fondamentali della nuova legge è la stabilizzazione delle risorse che non potranno essere inferiori a 400 milioni l’anno. Tali risorse hanno l’obiettivo di incrementare la produzione di cinema e audiovisivo nazionali. L’idea di produrre di più e meglio è un principio basilare di questa riforma e su di esso c’è stata la convergenza di tutti gli operatori del settore. Questo pilastro non può, però, reggere da solo l’intera architettura dell’edificio senza un altro pilastro, altrettanto forte altrettanto fondamentale e cioè quello che mira a favorire la visibilità delle opere che saranno realizzate proprio grazie alle nuove risorse messe a disposizione dallo Stato. Un pilastro non può esistere senza l’altro, almeno che non si voglia lasciare la riforma a metà.
In passato le maggiori critiche mosse alla legge del cinema del ‘94 erano state proprio quelle relative alla mancanza di coordinamento tra le norme che sostenevano la produzione e quelle relative alla distribuzione e alla diffusione delle opere.
Finalmente con questo schema di decreto, che prevede precise quote di programmazione e d’investimento, si correggono gli errori del passato e si dà vita a un sistema integrato nel quale, da una parte lo Stato sostiene la realizzazione di opere e prodotti italiani e dall’altra prevede regole adeguate affinché essi abbiano una diffusione certa e efficace.
L’attuale decreto deve essere approvato e noi ci auguriamo che questo accada senza alcuno snaturamento. Chi si è avvalso finora della genericità della vecchia normativa - che non prevedeva sanzioni e acconsentiva a concedere deroghe - non potrà più sottrarsi alla funzione di diffusore di tutti quei prodotti che saranno realizzati grazie alle nuove risorse pubbliche.
Non dimentichiamo che i broadcast, prima fra tutti la Rai, per lo sviluppo delle proprie attività, utilizzano anche strutture e beni pubblici, dalle infrastrutture per la trasmissione di dati, all’etere, ma anche spazi e territori demaniali dove sono collocati antenne, ripetitori, compresi il sottosuolo dove transita gran parte della cablatura della fibra ottica e il cielo per i satelliti. Mentre le Over The Top, approfittando addirittura di “corridoi fiscali”, restituiscono al Paese meno di quanto utilizzano.

Altro punto non irrilevante è la competenza sul provvedimento del Ministero dei beni e delle attività culturali che lo ha elaborato e lo ha presentato al Consiglio dei Ministri. Con apprezzabile coerenza il Ministro Dario Franceschini ha difeso l’impianto della sua riforma, dove il cinema e l’audiovisivo, in quanto veicoli dell’ identità e della cultura nazionali, devono essere sostenuti dall’intero sistema a partire dai fornitori di media audiovisivi che operano nel nostro Paese e ciascuno di essi deve essere in prima fila per una convinta azione di valorizzazione. Sicuramente non è acquistando film e serie americane, né puntando esclusivamente sul calcio che i broadcast possono uscire dalle difficoltà denunciate. Investendo invece, insieme allo Stato, sulla creatività e sulla qualità del cinema e dell’audiovisivo italiano hanno grandi opportunità proprio per l’alta potenzialità della nostra industria creativa, all’interno della quale gli autori devono diventare sempre più centrali.

Oltretutto la spinta che lo “schema di decreto” imprime agli investimenti nel pre-acquisto, nell’ acquisto e nella produzione di opere italiane e europee è un’imperdibile opportunità occupazionale per il nostro Paese. In Francia si stima che il settore conti su 340.000 posti di lavoro che equivalgono all’1,3% dell’occupazione nazionale: con questo decreto, che metterà in moto un meccanismo virtuoso, si potrà raddoppiare se non addirittura triplicare il numero degli addetti italiani del settore che attualmente superano di poco le 60.000 unità.
Le accese critiche suscitate all’indomani della presentazione dello schema di decreto, secondo le quali le quote di programmazione e di investimento, oltre che le sanzioni, metterebbero in seria difficoltà le emittenti, le avevamo già sentite circa due anni fa, quando siamo stati uditi proprio in questa sede, sul disegno di legge a firma Di Giorgi/ Zavoli. In quell’articolato, che si ispirava ad uno dei più evoluti sistemi normativi occidentali in materia di cinema e audiovisivo, era stato previsto il prelievo di scopo sui biglietti della sala e sui fatturati dei fornitori di servizi di media audiovisivi. In quell’occasione furono fatte le stesse considerazioni da parte dei broadcast: “il settore è in crisi… questo sarebbe il colpo finale… non è pensabile un tale aggravio sui bilanci…” Ecco, oggi a distanza di due anni, ritornano le stesse parole.
Non è immaginabile che anche questa volta, su un principio essenziale della riforma, accolto favorevolmente dalla quasi totalità degli operatori, ci possa essere una riconsiderazione dovuta alla tendenza protezionista dei fornitori di servizi di media audiovisivi che intendono sottrarsi a norme adottate in altri Paesi come la Germania e la Francia con risultati che hanno portato questi stessi Paesi ai primi posti della produzione e diffusione di cinema e di serialità televisiva europei.
Per rendere il provvedimento ancora più efficace ci permettiamo di suggerire infine due emendamenti:
1) inserire un dispositivo per convogliare l’incremento delle produzioni italiane
( che questo decreto produrrà) nei teatri di posa nazionali, in particolare a Cinecittà tornata recentemente in mano pubblica. Tale emendamento avrebbe come obiettivo anche quello di limitare o impedire la delocalizzazione delle produzioni in altri Paesi;
2) prevedere tra le sanzioni anche la sospensione della concessione per i casi di violazione più gravi, oltre che prevedere organi e meccanismi di controllo.
Infine ci preme sottolineare che l'intervento normativo proposto dal Governo è perfettamente in sintonia con le finalità e le caratteristiche della normativa Europea e cioè con le finalità sia della Direttiva 2010/13 che con la più nota Direttiva 89/552 conosciuta meglio come direttiva "Televisioni Senza Frontiere". La normativa Europea si basa sostanzialmente su due principi: La libera circolazione dei programmi televisivi europei nell'ambito del mercato interno. L'obbligo per le reti televisive di riservare "quote di diffusione" ad "opere europee". Quindi obblighi di programmazione e di investimento per le reti televisive. (Obblighi che, per altro, nel decreto di cui si tratta, dovranno essere osservati con una certa gradualità, per arrivare alla completa definizione nel 2020).
È fondamentale ed essenziale che gli Stati membri, proprio ed appunto in osservanza delle direttive Europee, vigilino affinché non si commettano atti pregiudizievoli per la libera circolazione ed il commercio delle trasmissioni televisive o tali da favorire la formazione di posizioni dominanti. L'adozione della normativa in esame, costituisce nient'altro che un mezzo per promuovere la produzione, la produzione indipendente e la distribuzione Europea e quindi Italiana. Le normative dell’Unione Europea, come ben sappiamo, sono emanate per difendere le proprie cinematografie, le proprie culture, le proprie economie, anche in difesa dell’invasione selvaggia di prodotti estranei alla tradizione e ai linguaggi dell’audiovisivo europeo. Ben venga il buon cinema americano ma il cinema europeo, Italiano sono diversi, raccontano storie di sapore, ritmo, temperature diverse. Se abituiamo i nostri bambini fin da piccoli a vedere qualcosa che non gli appartiene li priviamo della necessaria educazione a tradizioni culturali ed espressive che sono solo le nostre e che risultano più armoniche con la nostra storia.
Per concludere ci teniamo a ricordare che nel 1996 l'ANAC, unitamente ai produttori indipendenti e a tutte le associazioni di categoria - proprio per il rispetto della direttiva "Televisioni Senza Frontiere" e per le molte mancanze dell'allora legge 6.08.90 cosiddetta "legge Mammì", che non recepiva la direttiva riducendo di fatto drasticamente la possibilità di produzione di fiction Europea, nello specifico Italiana - fu costretta a presentare ricorso per infrazione presso la Commissione Europea. Ricorso che fu accolto. La Commissione il 10.12.1997 stabilì di adire l'Alta Corte Di Giustizia della Comunità Europea, per fare accertare che la Repubblica Italiana era venuta meno agli obblighi della direttiva "Televisioni Senza Frontiere". Successivamente il Governo italiano per evitare di essere sanzionato corse ai ripari con la nuova normativa grazie alla quale si è dato il via alla nascita del fiorente mercato della Fiction in Italia. Studi di settore hanno statisticamente dimostrato che le direttive a protezione del prodotto Europeo, hanno creato uno sviluppo della produzione audiovisiva Europea e questo ha avuto maggiore effetto laddove la normativa Europea è stata applicata dallo Stato membro con maggiore sensibilità e rigore. Il giusto recepimento della Direttiva a difesa della cultura europea e nello specifico della cultura italiana, non deve spaventare il mercato perché anche l'esperienza di altri Paesi dimostra che non solo il principio è giusto e ha effetti concreti, ma rappresenta una risorsa e un’ opportunità di crescita.

In conclusione, esprimendo il vostro parere favorevole, vi chiediamo di continuare a sostenere quanto è già stato fatto dal Ministero dei beni e delle attività culturali, dal Governo e soprattutto dal Parlamento che esattamente un anno fa era il 14 novembre, ha approvato la legge italiana del cinema e dell’audiovisivo esprimendo la volontà dello Stato di rilanciare organicamente tutto il settore.

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