Perché un nuovo Servizio Pubblico.
Gli autori, i produttori e i lavoratori nell'industria creativa (del cinema, della televisione e del web) considerano come una occasione preziosa la Consultazione annunciata dal Governo per il rinnovo della concessione in esclusiva del servizio pubblico radio-tv, prevista per il prossimo settembre
Perché le risorse fiscali finora assegnate alla Rai (oltre 1.700 milioni l'anno, tra tv e radio) rappresentano il principale intervento pubblico nei settori della cultura, della informazione e dell'intrattenimento.
Perché né la sola iniziativa privata, né la vecchia Convenzione si sono dimostrati adeguati per difendere il ruolo dell'industria nazionale in una fase decisiva di ristrutturazione dell'industria audiovisiva mondiale. E dunque strutturalmente espongono il Paese al rischio della marginalità nel campo della comunicazione mondiale.
Siamo cioè di fronte a un classico “fallimento del mercato”, ma anche e simultaneamente al fallimento della sussidiarietà attesa dall'intervento pubblico. Da qui l’urgenza di una radicale modifica delle funzioni e del funzionamento del Servizio Pubblico senza la quale il Paese di fatto si priverebbe del pilastro massmediatico essenziale per esprimere la “identità della Nazione”, all’Italia stessa e al mondo che ne cerca la cultura e i prodotti,.
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Perché gli stati europei destinano rilevanti risorse fiscali a un'azienda incaricata del Servizio Pubblico? Quali sono le missioni che la collettività indica e delega?
Ieri, nel mondo analogico
Nel mondo analogico la scarsità delle reti aveva giustificato e consentito due missioni che oggi perdono di importanza e di efficacia.
1.La prima missione -centrale in Italia nel ventennio del monopolio mono canale - è stata in senso lato pedagogica, con la divulgazione di tutti i generi nati fuori della televisione: il film il lunedì, la commedia il venerdì, la partita la domenica, il telegiornale, il festival canoro, la lezione frontale del maestro di scuola.
2. Con la caduta del monopolio, il "pluralismo" diventa da noi più che altrove la nuova missione che assorbe gran parte dell'interesse politico e delle risorse pubbliche. Pluralismo esterno (il Duopolio) e interno (le reti Rai lottizzate) a garanzia del sistema dei partiti, che a sua volta garantisce il Duopolio.
“Pluralismo” e “pedagogismo” estesi persino agli eroi della fiction e ai conduttori dei talk, e cioè della serialità in forma di racconti, talkshow, quiz che hanno dilagato in numero ed estensione a scapito dei generi esterni di più complessa struttura produttiva e autoriale.
Oggi, nel mondo digitale
La digitalizzazione della tv e il web hanno fatto esplodere il collo di bottiglia della distribuzione.
La sovrabbondante offerta di informazione, di cinema, persino di lezioni universitarie spesso gratuite e di alto livello su tutte le piattaforme, rende meno necessari e meno visibili i canali pubblici nazionali e lineari e pone su basi totalmente diverse sia la questione del pluralismo, per il quale non mancano di certo né gli spazi né gli attori, sia la efficacia di qualsivoglia progetto “pedagogico”. E dunque le citatissime missioni del Servizio Pubblico e cioè educare, intrattenere, creare coesione sociale, informare correttamente non possono più essere fondate sulla forza di essere l'unica o una delle poche offerte in onda, ma sulla vitalità del sistema industriale che le produce.
Content is King
In poche parole, quando vengono meno le barriere nazionali o la scarsità di canali, più che mai Content is King
E dunque, tanto più oggi, la capacità di un Paese di parlare al mondo, consiste soprattutto nel produrre e vendere sia flussi di informazione sia prodotti video sceneggiati (film, serie tv, e web, documentari, cartoni), ed è oggi un fattore determinante nella nuova divisione internazionale del lavoro, a maggior ragione per un paese quale l'Italia che fonda sulla immagine gran parte della attrattività di tutti i suoi prodotti.
Ne consegue che, la Rai, se finora è stata giudicata per quello che mette in onda, d'ora in poi sarà guardata per quello che mette in moto. E di questo l'indice di misura principale non sarà né l'Auditel, né un fantomatico Qualitel. E l'efficacia nell’uso delle risorse pubbliche non sarà misurata nel perimetro angusto dell'azienda, ma in quello del sistema delle industrie collegate con due indicatori principali: 1) i posti di lavoro generati 2) le esportazioni.
In questo campo e da questo punto di vista l’Italia vive in bilico fra la caduta all’indietro e il salto in avanti.
Il caso Italia
occupazione
Gli addetti all’audiovisivo equivalgono, monitorando i contributi previdenziali versati a poco più di 40.000 unità-a-tempo-pieno su base annua (le persone effettivamente coinvolte sono il doppio poiché moltissimi impegni riguardano frazioni d’anno, a volte minuscole). Un terzo meno dei francesi e la metà degli inglesi.
Perché il sistema è più piccolo (circa 10 mld rispetto a 13 e 18), ma anche perché spende peggio, tant’è che per ogni milione di fatturato, abbiamo solo poco più di 4 addetti/anno contro i quasi 6 della Francia e gli oltre 7 dell’Inghilterra.
Rispetto alle medie europee siamo sotto di circa 25.000 unità-annue (e dunque di un numero doppio di persone impiegate più o meno continuativamente) in un campo “labour intensive”, dove il lavoro è di alta gamma e, anche per questo, non delocalizzabile.
La sottoccupazione discende dalla sottoproduzione causata a sua volta dalla dispersione delle risorse economiche su un eccessivo numero di reti generaliste o tematiche che si riempiono di programmi:
comprati, che costano meno di quelli prodotti;
dilatati (i talk e i varietà che durano intere mattinate, pomeriggi e serate);
a basso costo e ad esclusivo uso interno (le fiction “povere”).
esportazioni
In termini di esportazioni la situazione italiana è ancora peggiore, e qui del resto va cercata la radice strutturale della sottoccupazione.
La ragione risiede nelle logiche del mercato globale in cui:
il Nord America, ha stratificato tre modelli industriali egemonici: dapprima il distretto produttivo di Hollywood, poi il finanziamento della TV con l'advertising, oggi la distribuzione globale in streaming gestita dagli operatori Over The Top.
Ciascun paese europeo cerca di reagire allo squilibrio competitivo con un mix di misure protettive, di incentivi e di interventi pubblici, i più rilevanti dei quali sono le risorse e gli obiettivi assegnati alle aziende incaricate Servizio Pubblico. La Gran Bretagna da decenni ha assegnato alle sue due aziende pubbliche, e con grandi risultati, il ruolo di volano dell'industria nazionale, e anche Francia e Germania, operano nella medesima direzione.
In questo quadro la Rai non ha mai avuto, a differenza dei casi ricordati, l’effettivo mandato di agire come leva per la crescita del sistema industriale nazionale. E i risultati sono quelli misurati dalle statistiche del lavoro e del commercio con l’estero.
Dall’insieme delle dichiarazioni degli esponenti di Governo coinvolti nella materia, emergono idee e approcci, che di seguito sintetizziamo e commentiamo, che interessano gli autori, i produttori e i lavoratori nell'industria italiana del cinema, della TV e del web per l’impatto che ne deriverebbe sulle problematiche pluridecennali che abbiamo sintetizzato dall’angolatura dell’industria dei contenuti.
Un numero di «canali», anche generalisti, più ristretto.
Condizione in effetti essenziale perché aumenti il budget orario di produzione fino ai livelli correnti nel mercato internazionale della narrazione, dei format, della informazione;
La separazione societaria delle attività sovvenzionate con risorse fiscali da quelle sovvenzionate con pubblicità.
Condizione essenziale per sfruttare a pieno la leva dell’investimento pubblico senza rinunciare a quella della competitività commerciale. Il modello britannico dimostra che anche una società pubblica senza risorse fiscali, con un adeguato contratto di servizio, può svolgere un ruolo decisivo di volano della produzione indipendente nazionale, con contenuti non schiacciati sulle esigenze più immediate dell’investimento pubblicitario;
La riallocazione delle risorse, dei marchi, dei dipendenti.
Riallocazione e non riduzione. Infatti i circa undicimila dipendenti Rai (escluso il nucleo Rai Way che altrove non esiste e che sarebbe dunque improprio comprendere nel confronto) sono pari a quelli francesi e metà di quelli inglesi (BBC e Channel Four). Non confrontabili con gli organici (di poche migliaia di persone) dei broadcaster privati che vivono prevalentemente di acquisti e appalti. Lo «spreco» imputato ai lavoratori della Rai sta dunque in ciò che fanno, non in quanti lo fanno. Ovvero, la RAI deve cambiare forma, più che dimensione.
La durata decennale della Concessione.
In effetti, per cambiare radicalmente la forma della Rai, farle svolgere il ruolo di volano del sistema e misurare i risultati, occorre un orizzonte di medio periodo con risorse adeguate e certe;
La governance duale, con un consiglio di indirizzo e sorveglianza che rappresenti gli obiettivi definiti in Convenzione e che nomini il vertice della azienda.
Essenziale per il mondo che lavora nell’audiovisivo è che la Rai, o qualsiasi sistema di entità che ne prenderà il posto, sia sottratta alle congiunture della politica e possa così svolgere in maniera stabile e lungimirante la essenziale funzione di editore di riferimento. Per questo appare essenziale che i membri del Consiglio siano nominati singolarmente e per lunghi periodi, oltre che selezionati fra i più esperti del settore-
Con questi interventi strutturali il Servizio Pubblico potrebbe dotarsi di una fisionomia radicalmente diversa rispetto alla attuale Rai e diventerebbe il punto di riferimento di un rapporto rifondato con produttori e autori, basato su Statement of programme Policy che rendano pubblici la pluralità delle linee editoriali e su Nuovi Codes of Practice in materia di sfruttamento dei contenuti fra broadcaster, produttori e autori.
In ogni caso il cambiamento nell’area della tv pubblica avrebbe un impatto rilevante sugli altri attori del sistema, non fosse altro che per la gestione dei diritti, sinora allineata a quella di Mediaset e Sky, e per lo stimolo competitivo costituito dalla separazione societaria e dalla conseguente costituzione di un azienda pubblica che competa con gli stessi affollamenti pubblicitari dei privati. Perché l’interesse generale è che il Servizio Pubblico, finanziato dal canone o dalla pubblicità, non abbia meno risorse e sia anzi libero di mostrarsi capace di incrementarle.
Al fine di strutturare e rendere incisiva la interlocuzione con la iniziativa del governo, organizzeremo al più presto seminari aperti circa:
la valorizzazione dei “diritti” nell’era della loro moltiplicazione
il commissioning delle aziende pubbliche e la produzione indipendente
la distribuzione on line della produzione nazionale
100autori- Associazione della autorialità cinetelevisiva
AGPCI- Associazione giovani produttori Cinematografici
ANAC- Associazione Nazionale Autori Cinematografici
ANICA- Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali
APT - Associazione Produttori Televisivi
ART- Associazione Registi Televisivi
DOC/IT- Associazione Documentaristi Italiani
PMI Cinema e Audiovisivo - microimprese audiovisive.