IL CINEMA ITALIANO TRA DIRITTO D’AUTORE E COPYRIGHT
di Francesco Ranieri Martinotti
Per comprendere fino in fondo cosa stia accadendo nel settore del cinema e dell'audiovisivo, non solo in Italia, ma più in generale a livello planetario, e perché gli autori europei stiano entrando in fibrillazione, mentre è in corso lo sciopero dei colleghi americani, si deve avere bene presente la differenza tra il Diritto d'autore e il Copyright.
Una differenza che non è soltanto giuridica, ma soprattutto culturale.
Due modi diversi di interpretare la proprietà intellettuale e la libertà di espressione creativa, che in molti non conoscono, confondendo addirittura il diritto d’autore con il copyright.
Il diritto d'autore fu ideato da Beaumarchais, l'autore del Barbiere di Siviglia, e riconosciuto in Francia
dall' Assemblea costituente, che lo ratificò nel 1791. Si trattava della prima legge che proteggeva gli autori e i loro diritti: diritti che erano morali e contemporaneamente patrimoniali, il che ne determinava l’indipendenza economica e quindi creativa. Il copyright è tutt’altra cosa, perché nasce in Inghilterra come diritto specifico dell'editore. Tanto che l'autore, una volta ricevuto il suo compenso, non ha più alcun diritto, né di conseguenza può guadagnare nulla sulle successive pubblicazioni.
In questo, come in ogni altro campo, la digitalizzazione, il web e il mercato globale hanno prodotto e continuano a produrre sconvolgimenti assoluti. Fintanto che, infatti, la cultura è stata centrale nel nostro continente, il sistema ha rispettato e difeso gli autori e i diritti a essi collegati, ma con l'arrivo dei sorprendenti capitali investiti nella produzione seriale da parte delle piattaforme, a partire da Netflix, la diffusione dei modelli anglosassoni, ha messo tutto in discussione, dal diritto d'autore di Beaumarchais, fino alla libertà di espressione.
Si stanno via via affermando comportamenti di sistema in contrasto con i principi che hanno regolato finora il cinema europeo, in particolare quello italiano, che lo hanno diversificato e reso insuperabile. Le sceneggiature vengono modificate senza il consenso degli autori. I collaboratori artistici e i cast sono imposti ai registi. I film cambiati arbitrariamente al montaggio e in post-produzione. Le scelte musicali non sono più appannaggio dei compositori, ma sono pesantemente condizionate dai repertori delle piattaforme. Il regista è scomparso dai titoli e dalla comunicazione e di fatto da creatore è diventato anonimo esecutore. I compensi medi sono scesi in modo inaccettabile e insostenibile.
Tutte queste pratiche, imposte sulla base di modelli matematici, non sono altro che forme attualizzate di censura che stravolgono radicalmente le opere; inibiscono la libertà di espressione; annichiliscono ogni forma di sperimentazione; determinano l'invisibilità dell'autore; attribuiscono potere assoluto ai finanziatori/diffusori e avviano una surrettizia sostituzione del diritto d'autore con il copyright.
Per contrastare quanto sta accadendo, gli autori francesi, eredi morali di Beaumarchais, hanno presentato al Festival di Cannes, La déclaration des cinéastes, un manifesto firmato già da oltre 700 personalità del cinema internazionale per proteggere la libertà di espressione in un sistema governato dagli algoritmi e dall'intelligenza artificiale.
“Noi registi ci muoviamo all'interno di un'arte che è anche un'industria" (André Malraux).
Siamo portatori della dimensione artistica e di quella industriale. Ed è proprio perché gli autori e i cineasti sono liberi che la nostra industria è viva”.
Partendo da questa premessa, i firmatari dell’appello, che sarà rilanciato in un incontro alla Mostra di Venezia il 3 settembre, assieme alle sceneggiatrici, gli sceneggiatori, i registi e le registe italiane, si propongono di proteggere gli autori e riaffermare i diritti morali, ristabilendo uno stretto rapporto di collaborazione tra gli autori e i produttori indipendenti il cui rapporto di fiducia è alla base lavoro creativo.
Un appello forte che propone alcune richieste fondamentali per gli autori.
Non si possono modificare la versione finale della sceneggiatura, il titolo del film, la versione finale del montaggio e i titoli di testa e coda del film senza l'esplicito accordo del regista.
C’è, poi, un argomento molto importante per i promotori del manifesto: il nome dell’autore deve sempre comparire in ogni comunicazione riguardante il film.
Una battaglia per il riconoscimento del diritto d’autore in un’epoca dove questo stesso diritto viene messo in discussione dalle piattaforme che lo considerano un ostacolo al loro potere decisionale.
Mentre negli Stati Uniti lo sciopero degli sceneggiatori sta mettendo in difficoltà le grandi produzioni, in Europa gli autori si preparano ad una lunga battaglia per impedire di soffocare la libertà creativa, essenza del cinema.
Un appello alla solidarietà collettiva per la tutela del cinema d’autore.
articolo pubblicato su Treccani magazine