Un sotterraneo che era stato galleria d’arte. In via del Vantaggio. Umido. Gelido d’inverno malgrado la stufetta a gas, piacevole d’estate per contrastare la canicola. Qualche tavolo, una macchina da scrivere, il ciclostile che all’epoca non poteva mancare. Uno schedario, prezioso.
Io arrivai d’inverno, fra la fine del ’67 e l’inizio del ’68. A completare l’organico, che già comprendeva altre due persone: una segretaria per l’Anac cortometraggio, e un coordinatore che doveva tenere insieme non tanto noi (io segretaria del lungometraggio), quanto le due parti dell’associazione, che vistosamente andavano divaricandosi. Un contrasto fra vecchi e giovani, ma anche fra identità politiche e perfino umane diverse, con scontri anche personali che andavano infittendosi.
Il mio primo compito fu quello di calcolare e richiedere le quote associative, il cui importo era legato ai film di ciascuno. Così imparai moltissimo sul cinema italiano di quegli anni, ma così mi presi anche le ricadute dei contrasti in atto: per esempio una scenata di Ugo Pirro, che alla mia richiesta oppose urli di cui non capivo il senso.
Il senso apparve chiaro poco tempo dopo, nell’assemblea alla Casa della Cultura (all’epoca in via della Colonna Antonina). Presiedeva Lattuada, e i lavori si trascinavano stancamente. Finché Marco Bellocchio non prese a male parole l’esterrefatto Lattuada, reo di fare un cinema vecchio e corrivo. Volarono sedie, forse anche qualche schiaffo, certamente molti spintoni: la scissione era ormai una realtà.
Per una forma di lealtà (ma anche confidando in uno stipendio un po’ più regolare, speranza che si rivelò poi del tutto errata), rimasi con i “vecchi”, con quelli del lungometraggio, che fondarono l’Aaci (Associazione Autori Cinematografici Italiani). Con i disagi di una che in quel momento, su altri fronti, partecipava al movimento del ’68: prendendomi la mia dose di manganellate, e - quando si trattò di decidere la solidarietà con i cineasti attaccati dalla polizia a Pesaro -  il braccio pieno di lividi che mostrai al presidente Marcello Fondato pesò in qualche modo sulle decisioni dell’assemblea.
Poco dopo, condividendo l’esperienza del cinema militante, tornai all’ovile Anac. Ma intanto i legami fra le due associazioni si ammorbidivano: ci furono iniziative condivise contro la censura, mentre per parte sua l’Aaci espelleva (caso unico nella storia, credo) Franco Zeffirelli dai propri ranghi, proprio per le sue posizioni a favore della censura, che aveva in quel momento recrudescenze particolarmente codine.
Nelle due edizioni delle “Giornate del cinema italiano” tutto avvenne in un clima di grande unità. Io più che altro battevo a macchina a velocità da record (sette anni di pianoforte insegnano pur qualcosa!), e ciclostilavo pagine e pagine e pagine: in funzione anti inchiostro ero perennemente vestita di nero, ma anche quello era un modo per stare – o almeno sentirsi – dentro il movimento.
C’era una grande osmosi fra i diversi organismi che si occupavano di cinema, in quella fase, e anch’io passai dall’Anac alla Ficc (la Federazione Circoli del Cinema) e poi alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, e poi alla Federazione Unitaria dei Lavoratori dello Spettacolo. Ma un legame diretto con l’Anac, per molti anni, perdurò: sembrava infatti che io fossi l’unica capace di intrattenere le relazioni con il Ministero per la liquidazione del contributo annuale, vitale per l’esistenza dell’associazione.
La vita va avanti, e anche la mia, negli anni, prese altre strade. Ma – nel disordine inevitabile di ogni associazione culturale – mi piace pensare che il “protocollo”, il quadernone in cui registravo lettere in entrata e in uscita (e credo che nessuna segretaria dell’Anac o quasi dopo di me l’abbia fatto), da qualche parte ci sia ancora: come una speranza, una possibilità di dare ordine forma e regole alla creatività e alle relazioni, che di per sé ne rifuggono. Ordine, forma e regole, per continuare a raccontare una storia.

Clara Sereni

17/09/2007 - Notizie ANAC
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