Sergio Amidei, uno dei più grandi sceneggiatori italiani del dopoguerra, immaginò per tutti noi un piccolo grande sogno: una Casa per il Cinema dove autori, registi e attori potessero incontrarsi e confrontarsi. Quella casa ora esiste poco lontano da qui e a quella casa una settimana fa siamo tornati tutti insieme per dire che è nostra e per discutere tra noi cosa fare di fronte a un governo che ci aveva messo con le spalle al muro, tagliando i soldi del Fondo Unico dello Spettacolo ai minimi storici e quelli per le fiction televisive di un terzo, provocando in due anni il dimezzamento delle ore lavorative delle troupe, e cancellando dopo dodici mesi quelle agevolazioni fiscali che avevano dato un po’ di linfa vitale al nostro settore.
E alla Casa del Cinema ci siamo ritrovati. Trentadue Associazioni, tutti insieme. Dopo tanto tempo abbiamo sottoscritto un documento comune. E adesso siamo qui, a occupare simbolicamente il tappeto rosso del Festival del Cinema, per comunicare a voi che siete il nostro pubblico le nostre richieste, perché il nostro cinema riguarda anche voi. Noi non pretendiamo elemosine, ma investimenti pubblici e prelievi di scopo certi soprattutto da parte di chi utilizza il nostro lavoro, e chiediamo agevolazioni fiscali perché non rappresentano denaro a fondo perduto, ma risorse che tornano triplicate, sotto forma di tasse, allo Stato. E non siamo una categoria di parassiti o assistiti, come vorrebbe far credere il governo, ma parte decisiva di un’industria, quella dell’audiovisivo, che è strategica per ogni paese moderno e che coinvolge più di 250 mila persone.
“La cultura non si mangia”, sostiene il Ministro del Tesoro Tremonti. Ma, forse lui non lo sa, nutre lo stesso permettendo a centinaia di migliaia di persone che la producono di mangiare, e inoltre fornisce a quei cittadini che si fanno pubblico un alimento immateriale e decisivo, fatto di emozioni e sogni, consapevolezza e senso dell’identità nazionale, per guardare la realtà con occhi nuovi e immaginare un paese migliore.